'O pere e 'o musso

 

Questa specialità culinaria napoletana si prepara con il piede di maiale ('o pere). 'O musso è invece il muso del vitello, anche se erroneamente lo si considera musso 'e puorco. 'O pere e 'o musso infatti deriva da una tradizione popolare povera, fatta da gente che non gettava via nulla. Questi ingredienti vengono depilati, bolliti, raffreddati, tagliati in piccoli pezzi e serviti freddi, conditi con sale e succo di limone.

Tra gli ingredienti che compongono il piatto, oltre a quelli già menzionati spesso vengono aggiunti anche:

 

  • piede di vitello;[1]
  • piede di capretto;[1]

 

e le frattaglie:

 

  • i quattro stomaci della vitella (tra cui la trippa);[1]
  • mammella della mucca da latte;[1]
  • utero della vitella;[1]
  • retto della vitella.[1]

A volte il condimento de 'o pere e 'o musso prevede, a scelta del cliente, anche l'aggiunta di finocchi, lupini, olive e peperoncino

 


 

Pizzeria Da Pasqualino

Via Santa Maria delle Grazie a Loreto 45

380 897 1788


 

Pasta con burrata

 

 Per chi non conoscesse la burrata sappiate che è un formaggio fresco tipico della Puglia, fatto di latte vaccino, simile alla mozzarella ma dalla consistenza molto più morbida che avvolge all'interno un cuore cremoso di stracciatella di latte.

 

Dosi per

4 persone

 350 gr di pasta

 200 gr di burrata

 10 gr di erbe aromatiche

 40 gr di mandorle pelate

 buccia di limone grattugiata

 1 spicchio di aglio

 olio di oliva extravergine

 sale

 


 

RISOTTO ALLA PESCATORA

 

Ingredienti per 4 persone:

 320 gr di riso

 1/2 Kg di cozze

 1/2 Kg di vongole

 1/2 Kg di gamberi

 1/2 Kg di calamari

 250 ml di brodo di pesce

 1/2 bicchiere di vino bianco

 1 spicchio di aglio

 olio di oliva extravergine

 prezzemolo

 sale

 pepe

Spazzolate bene le cozze e togliete le “barbe”. Fate spurgare le vongole lasciandole per un'ora in acqua salata. Cuocete le vongole e le cozze in 2 padelle separate. Coprite e fate cuocere a fiamma alta per qualche minuto, in modo da far aprire le valve.

 

Appena le cozze e le vongole saranno pronte, togliete i molluschi dal guscio e metteteli da parte, quindi filtrate il loro brodo di cottura e tenetelo da parte per la preparazione del risotto.

 

1 cozze e vongole1

 

Pulite i calamari togliendo interiora e gladio, e sciacquateli sotto l'acqua corrente. Staccate e spellate le sacche ed eliminate la parte con gli occhi.

 

 

 

Pulite i gamberi e mettete a sobbollire le teste in una pentola con 250 ml di acqua

 

In una padella abbastanza ampia fate rosolare uno spicchio d'aglio e qualche cucchiaio d'olio, aggiungete i calamari tagliati ad anelli e i gamberi sgusciati e i frutti di mare e fate rosolare per un paio di minuti.

poi nella stessa padella aggiungete il riso e fatelo tostare, sfumando poi con il vino bianco.

aggiungere calamari

 

Ricoprite il riso con il fumetto e con l'acqua filtrata dei frutti di mare. Aggiungete i liquidi man mano che verranno assorbiti durante la cottura.

 

 

 

Portate a cottura quindi aggiungete pepe e prezzemolo tritato.

Servite il risotto alla pescatora nei piatti, guarnendo con un ciuffo di prezzemolo.

 

 


 

VACANZE A NAPOLI: TORTA CAPRESE

 

Questo meraviglioso dolce al cioccolato si racconta sia nato per caso agli inizi degli anni 20 del secolo scorso dal cuoco Carmine Di Fiore.

La storia racconta che il cuoco stesse preparando una torta alle mandorle per tre malavitosi americani giunti a Capri ma si dimenticò di aggiungere la farina nell’impasto, un errore che sarebbe potuto costargli la vita e invece la torta riuscì talmente buona che gli americani pretesero la ricetta e da quel giorno Di Fiore prese a produrre la torta con regolarità ottenendo enorme successo.

Ecco gli ingredienti che occorrono per una torta Caprese secondo la ricetta napoletana:

Ingredienti per uno stampo da 20 cm:

140 gr di cioccolato fondente 

100 gr di burro 

130 gr di zucchero 

150 gr di mandorle sgusciate

3 uove 

1 cucchiaino di lievito per dolci 

1 noce di burro 

cacao amaro

zucchero a velo 

Tempo di preparazione: 20 min

Tempo di cottura: 35 min

Tempo totale: 55 min

Come fare la caprese

Far sciogliere in un pentolino il cioccolato, il burro e lo zucchero. Una volta intiepidito, versate il composto al cioccolato in una ciotola e aggiungete le mandorle finemente tritate e il lievito e un cucchiaio di cacao.

Separate i tuorli dagli albumi e montate a neve questi ultimi.

Aggiungete un tuorlo per volta al composto mescolando con un cucchiaio di legno.

Incorporate infine gli albumi montati a neve ferma mescolando con un movimento che vada dal basso verso l’alto.

Imburrate e cospargete di cacao uno stampo per caprese e versate il composto al suo interno. Infornate la caprese a 180° e cuocete per 35 minuti.

Lasciate intiepidire il dolce per qualche minuto, quindi capovolgetelo su un piatto da portata e cospargete con zucchero a velo. Lasciate raffreddare completamente poi tagliare a fette e servire.

 

Buona Caprese!

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UN LIBRO PER L'ESTATE 7: CUCINA NAPOLETANA DI JEANNE CAROLA

 

Tre generazioni di piatti napoletani antichi e moderni, ma anche italiani, francesi, svizzeri, rivisitati alla "maniera partenopea", trecento ricette annotate negli anni da un'esperta della gastronomia partenopea: una carrellata di pietanze gustosissime, corredate da spiegazioni, dosi e modalità di preparazione, consigli e accorgimenti, per consentirne la realizzazione anche ai meno disinvolti ai fornelli. Antipasti, primi piatti, zuppe, minestre, timballi, pesci, carni, fritti, verdure, piatti freddi, pizze rustiche, dolci e crostate di ogni tipo e perfino gelati, marmellate, confetture, conserve, liquori.


 

Enotrattoria Casetta Rossa

Piazzale Pisacane, interno Porto

 

Forse il pesce più fresco di Napoli !

 

 


 

Spuzzulè

Via Sergente Maggiore 54

 393 432 1139

 

https://www.facebook.com/Spuzzule/?utm_source=tripadvisor&utm_medium=referral


 

 Ciro al Borgo Marinari

 

Santa Lucia, a Napoli, è un antico “luogo di delizia” scrive una vecchia guida della città. Sull’onomina via sorgevano alberghi famosi e ottimamente frequentati nel ‘700 e ‘800. Il centro dello svago signorile era qui: tra via Santa Lucia e via Chiatamone che insieme formano l’originario lungomare della città. Le montagne russe che hanno caratterizzato la storia di Napoli non hanno cambiato di molto il touch di questa zona della città: sfavillante, austera eppure caratteristica.

Di fronte, il linea d’aria, sull’isolotto di Megaride, si trova il Borgo Marinaro creato per accogliere le famiglie dei pescatori e marinai di Santa Lucia. Il caratteristico abitato – fatto di case basse e animato da baretti, ristoranti e trattorie di ogni sorta – sorge intorno alla mole del Castel dell’Ovo, il più antico della città. Il posto ha un non so che di magico conservando, a dispetto dell’immagine caotica e smaliziata che il capoluogo campano si è poi guadagnata, l’originaria serena atmosfera del borgo di pescatori.

I locali che aprono i propri ingressi su uno dei vicoli di questo borgo godono di una posizione privilegiata, anelata dai napoletani nelle notti afose dell’estate quando, sebbene i tempi siano mutati irrimediabilmente, numerosissimi si mettono ancora in fila per guadagnarsi un posto alla loro tavola. Nato 1936, Ciro al Borgo Marinari, il Ristorante Pizzeria della famiglia Stendardo, è un indirizzo classico dello svago cittadino e una parte importante della storia della ristorazione di Napoli della quale negli anni Sessanta e Settanta è stata una delle stelle. Per gli amanti della pizza, il locale ha una valenza precisa. Il nonno di Luigi e Mario, i suoi proprietari, era Carmine Pace, nome che risuona altissimo nella storia dell’Arte

Carmine, dopo aver esercitato il mestiere di pizzaiolo per lunghi anni a Via Foria, nei pressi del leggendario Cinema Partenope, nel 1932, aveva acquistato i locale di Via Santa Brigida. “Aveva preferito chiamarlo Ciro, il nome del figlio – racconta Luigi Stendardo – perché essendo la zona in espansione, e non avendo certezza del risultato di quella impresa, non voleva rovinarsi la buona fama guadagnata con il locale del centro storico”.

Di lì, poi, nel 1936, era passato ad acquistare il locale del Borgo Marinari che, sin dai primi del ‘900, era una Osteria specializzata nei piatti di mare. In questo modo, Carmine, aveva potuto assicurare un lavoro sicuro ai suoi figli. Infatti, mentre Ciro e Vincenzo si sistemarono, definitivamente, a Via Santa Brigida, le figlie Giuseppina e Nunzia, che si stabilirono al Borgo Marinari.

“Mia madre Nunzia era la contabile di famiglia, la mente dell’azienda. Si spostava nei vari locali per seguirne l’amministrazione” racconta Luigi. Nel 1935 Nunzia sposò Amedeo Stendardo e con l’arrivo della terza generazione, i locali di famiglia si organizzarono definitivamente: i loro figli, Luigi e Mario, proseguirono l’attività al Borgo Marinari, mentre Carmine e Antonio seguirono le orme di Vincenzo a Via Santa Brigida.

Essendo stato requisito dal ’42 al ’47, dopo un periodo di transizione, Ciro, rifiorì dopo il 1952, quando riaprì rimodernato. Fu l’inizio della sua ascesa. Da allora l’attività dei Pace, sottolineata dalla chiusura, negli anni Cinquanta, dello storico locale di Via Foria, rimase solidamente legata alla zona Chaia e Santa Lucia. Il locale degli Stendardo porta avanti la tradizione di famiglia presentando, oltre che una bella centrata sui più classici cavalli di battaglia della cucina di mare napoletana, una pizza degna della grande tradizione dei Pace.

Il cornicione è vaporoso e pasta sottile come piace a Luigi che ha iniziato tra questi tavoli da piccolissimo. Significativa è la scelta proposta delle pizze: una quindicina in tutto, assolutamente tradizionali. No patatine, no wuestel o pasticci per giovani alla moda. Il bravo Carmine Pace può riposare sereno.

 

Pizza e bibita 15 euro mediamente, servizio incluso.

Ristorante Pizzeria Ciro al Borgo Marinari

Via Luculliana, 29/30 (Borgo Marinaro) Napoli

tel. 081.7646006

www.ristoranteciro.it

Chiusa lunedì


 

Mezzanelli allardiati

 

Ingredienti per 4 persone

440gr mezzanielli spezzati

150 gr lardo di pancia

500 gr di pomodori pelati San Marzano

Uno spicchio d'aglio

Un peperoncino fresco

50gr di pecorino grattugiato

Prezzemolo

 

Preparazione

Con l'aiuto di un coltello ben affilato, il lardo va "allacciato" cioè deve essere ridotto alla consistenza di una pomata, si mette a sciogliere in casseruola rigorosamente senza olio

e poi si aggiunge l'aglio tritato e il peperoncino

Ddopodiché si aggiunge il San Marzano precedentemente passato

Cuocere per almeno due ore a fuoco dolce.

Cuocere i mezzanelli spezzati compresa la "minutaglia" tirarli al dente

e saltarli nel sugo con pecorino e prezzemolo.

Servire con una generosa spolverata di pecorino.

 

Vini abbinati: Gragnano e Piedirosso


 

O PER E O MUSS

O Per e O Muss, tradotto significa letteralmente il piede e il muso,

dove il muso è del vitello e il piede è del maiale.

Questo piatto è della tradizione povera campana e napoletana in particolare, quella in cui non si buttava via nulla. Queste frattaglie povere vengono prima depilate accuratamente, poi bollite, raffreddate, tagliate in piccoli pezzi e servite fredde condite con sale e succo di limone. Secondo i gusti, il condimento de O Per e O Muss può prevedere anche l’aggiunta di finocchi, lupini, olive e peperoncino.

Questo piatto di cultura popolare è diffuso in tutta la Campania e si trova nelle macellerie, mentre già preparato è reperibile nelle botteghe tradizionali. Ma è diffuso soprattutto nelle postazioni ambulanti di cibo di strada, come banchetti o carretti. Per salare O Pèr e O Muss, veniva usato dagli ambulanti un utensile particolare che oggi è sempre più raro vedere, un corno di bue bucato all’estremità.

O Pèr e O Muss è un cibo non grasso, quindi adatto anche a regimi alimentari ipocalorici.

 

NAPOLI GRAND TOUR 5: A SANTA LUCIA

 

 

Grand Tour B&B

Via Santa Lucia 76 - 80132 Napoli

Tel. 081 19324410 

 

Che posto !!!!!!

Fatevi un giro qui: http://www.grandtourbb.com/


 

Pizza chiena

 

La pizza chiena è un rustico tipico napoletano che si prepara nel periodo di Pasqua, esattamente il venerdì santo e viene consumato di solito il giorno dopo, proprio perchè il venerdì non si mangia la carne, questo rustico differisce sia dal tortano che dal casatiello perchè ha un impasto tipo quello della pizza ed un ripieno fatto di tante uova e salumi. Mi dispiace dirlo ahimè, ma questa non è la ricetta che si prepara in famiglia, perché la pizza chiena che prepara mia nonna proprio non mi piace, ha la pasta un pò dura e il ripieno troppo frittatoso (scusa nonnina :*). Così la settimana scorsa ho deciso di preparare la mia prima pizza ripiena napoletana andando a naso e studiando un pò il modo per ottenere un ripieno che non sapesse tropo d'uova, ma che comunque fosse fedele alla ricetta tradizionale napoletana

 

Ingredienti per uno stampo da 24 cm:

 500 gr di farina

 250 ml di acqua

 12 gr di lievito di birra

 1/2 cucchiaio di sale

 80 gr di strutto

 6 uova

 150 gr di salame

 150 gr di capicollo

 150 gr di provolone dolce

 150 gr di formaggio pecorino primo sale

 75 gr di pecorino

 30 gr di parmigiano

 

Antica Panetteria Chiaia

Salita Sant'Anna di Palazzo 7

081 412761

 

Sito web

 

INIZIO NOVECENTO QUESTO STORICO LOCALE VENIVA RIFINITO ED ARRICCHITO NELLO STILE LIBERTY, CON MARMI ED ALABASTRO CHE ANCORA OGGI SI POSSONO AMMIRARE NEL LORO SPLENDORE. NEGLI ANNI 40 DIVENTA UNA PANETTERIA ED ANCORA OGGI CONSERVA LA SUA TRADIZIONE E BELLEZZA. CLIENTI ILLUSTRI SONO STATI SERVITI CON SEMPLICITÀ E CORTESIA ED ANCHE LA FAMIGLIA SERAO ERA AFFEZIONATA FREQUENTATRICE, APPASSIONATA DELLE PRELIBATEZZE SEMPRE NUOVE E SELEZIONATE CHE ANCORA OGGI SIAMO SOLITI SERVIRE.

 

ANCHE B&B


 

Cicciotto a Marechiaro, la magia del mare a Posillipo

 

“Quando spunta la luna a Marechiaro anche i pesci fanno l’amore”, così recita il Maestro Sergio Bruni in uno dei grandi classici della canzone partenopea.

E a Marechiaro, punta estrema di Posillipo, quartiere “chic” di Napoli, dal 1942 c’è “Cicciotto”, uno dei ristoranti più frequentati della città.

Un ristorante che sembra imbalsamato, qui il “Panta Rei”, il “tutto scorre e nulla permane” di greca memoria pare non trovi riscontro, nelle cose così come nelle persone. E’ la sensazione che ti assale quando rivedi il vecchio Cicciotto e i suoi figli, Gianluca e Vincenzo, sempre uguali da quando ancora sbarbatelli per corteggiare una ragazza si decideva di “vincere facile” usando la più rapide delle scorciatoie, accomodandosi a uno dei loro tavoli con la luna di Marechiaro, splendente sul mare, e Capri di fronte.

 

Ristorante Cicciotto

Calata Ponticello a Marechiaro, 32

Napoli

Tel. 081.5751165

Sempre aperto

Ferie mai

 

Grazie a: https://www.lucianopignataro.it/a/trattoria-da-cicciotto-a-marechiaro-napoli/94457/


 

Genovese di mare

 

La genovese di mare è la variante della più classica pasta alla genovese . La ricetta prevede sempre una base di cipolle ma in questa versione del piatto ci saranno cozze, vongole e gamberetti a rendere il condimento diverso e ancor più ricco! Questo primo piatto di mare è molto in voga nei ristoranti di Napoli ed io, quando lo trovo nel menù, lo prendo per andare a colpo sicuro perchè è davvero delizioso. Se non avete mai sentito parlare della genovese di mare dovete  assolutamente prepararla ed assaggiarla, con un po' d'ingredienti e seguendo la ricetta passo dopo passo, porterete anche voi

in tavola un primo piatto da re

 

Dosi per

4 persone: 

 320 gr di paccheri

 800 gr di cipolle ramate

 500 gr di cozze

 500 gr di vongole

 150 gr di gamberetti

 1 carota

 1 costa di sedano

 200 ml di brodo

 olio di oliva extravergine

 prezzemolo

 


 

Bed and Breakfast - The Church

 

Bed & Breakfast The Church è sul tetto della chiesa di San Gennaro all'Olmo. Come in una chiesa,

entri e il rumore esterno sparisce…

Amiamo Napoli e i suoi segreti: vieni, così possiamo condividerli. A partire dai segreti di questo meraviglioso palazzo del Rinascimento.

E' un attico al quarto piano di un palazzo del Rinascimento, senza ascensore. Una camera ha il bagno privato esterno, le altre bagno in comune esterno; 

Bed & Breakfast The Church è un isola di silenzio nel centro di Napoli

ma allo stesso tempo lontana dal caos!

 

https://www.bbplanet.it/bed-and-breakfast-the-church-napoli_s58205/it/#mappa


 

Storia, mito, leggenda e la ricetta del ragù napoletano

 

Il diretto antenato del ragù napoletano, sembra essere un piatto della cucina popolare medievale provenzale, risalente al XIV secolo. Il daube de boeuf, uno stufato di carne di bue mescolato a verdure e cotto lungamente in un recipiente di creta. Il ragout invece, piatto francese posteriore, è sempre uno stufato di carne e verdure, differenziandosi però nel tipo di carne usata, che generalmente è di montone.

Il ragout di preparazione francese, appare nella cucina napoletana solo intorno al XVIII secolo con il regno di Ferdinando IV di Borbone. In questo periodo vi fu una grande influenza della cultura e della moda francese a corte. Molti piatti napoletani presero il nome dalle “storpiature” dei nomi francesi, come appunto il ragù deriva dal francese ragout, o il cattò in dialetto napoletano deriva da gateau; ancora il sartù di riso deriva sempre dal francese surtat.

Fu Carolina d’Asburgo Lorena, moglie di Ferdinando IV, a introdurre nelle cucine dei palazzi nobili la moda dei cuochi francesi. Carolina d’Asburgo arricchisce così la cucina napoletana con questo sostanzioso piatto a base di carne di manzo o vitello di prima qualità, ma ancora privo di pomodoro. Dell’uso del pomodoro nel ragù ne parla forse per la prima volta Carlo Dal Bono nella sua opera “Usi e costumi di Napoli”, risalente al 1857, così descrivendo la distribuzione dei maccheroni da parte dei tavernai: “Talvolta poi dopo il formaggio si tingono di color purpureo o paonazzo, quando cioè il tavernaio del sugo di pomodoro o del ragù (specie di stufato) copre, quasi rugiada di fiori, la polvere del formaggio”.

A Napoli, alla fine del Trecento, esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la città a piedi invocando “misericordia e pace”. La compagnia giunse presso il “Palazzo dell’Imperatore” in via Tribunali: all’epoca era abitato da un signore nemico di tutti. La compagnia convinse la popolazione a riappacificarsi con i propri nemici. Il nobile che risiedeva nel “Palazzo dell’Imperatore” decise di non accettare l’invito dei bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figlio di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole gridò tre volte: “Misericordia e pace”.

Il nobile accecato dall’ira, serbava rancore e vendetta, quando un giorno la sua donna gli preparò un piatto di maccheroni. La provvidenza riempì il piatto di una salsa piena di sangue. Commosso dal prodigio, il signore si rappacificò con i suoi nemici e vestì il bianco saio della Compagnia. Sua moglie in seguito all’inaspettata decisione, preparò di nuovo i maccheroni, che anche quella volta, come per magia, divennero rossi. Il signore decise così di chiamarlo come sui figlio, “raù”.

In realtà il termine ragù deriva dal francese Ragout, che indica un tipo di cottura di carne e verdure, simile allo spezzatino.

Grazie a : https://napoli.itineraridellacampania.it/

 

Stoccafisso con patate

 

Stoccafisso con patate, o stocco e patane per dirla alla napoletana, è un piatto unico dal sapore davvero particolare che porta con se tutta la tradizione napoletana, gustoso, semplice da preparare in occasione di pranzi tra amici o per la cena durante il periodo festivo. Lo stoccafisso con patate si basa su tre ingredienti facilmente reperibili al mercato: stoccafisso, patate e pomodoro.

 

INGREDIENTI (per 4 persone)

600 gr. di stoccafisso,

1 kg. di patate,

100 gr. di cipolle,

150 gr. di pomodori,

4 coste di sedano,

1 dl di olio extravergine d’oliva,

origano e sale q. b.

 

PROCEDIMENTO

Far rosolare in olio, per 5 minuti, le patate pelate e tagliate a spicchi, quindi aggiungere lo stoccafisso a piccoli pezzi, le cipolle affettate, i pomodori a pezzi e il sedano. Allungare con un bicchiere d’acqua e far cuocere per 30 o 40 minuti a fiamma bassa, aggiustando di sale e, a fine cottura, aromatizzando con l’origano.

 

CURIOSITA’

 

Lo stoccafisso, merluzzo artico conservato tramite essiccazione, è un pesce facilmente digeribile e ottimo da utilizzare per chi segue una dieta ipocalorica. La tradizione di piatti con stoccafissso e baccalà nasce nella zona vesuviana, dalla presenza, fin dall’800, di importatori e venditori di pesce salato. Questo piatto in particolare veniva preparato per sfamare i braccianti che lavoravano nei campi.


 

Pasta e fagioli con la cotica

 

La pasta e fagioli con la cotica, che nella versione più antica è insaporita col “mascariello”, la mandibola del maiale; è sicuramente un piatto che fa parte della cucina italiana, ma a Napoli assume un sapore particolare. Della pasta e fagioli Eduardo De Filippo in “Natale in casa Cupiello” diceva: quando si fanno i fagioli in casa mia si fanno che possono bastare per tre giorni, perché ci piace di mangiarli freddi al giorno appresso, e pure riscaldati la sera..’a matina pe’ merenda..

 

INGREDIENTI (per 4 persone)

100 gr. di lardo,

mezzo bicchiere di olio extravergine d’oliva,

1 “mazzetto misto” di sedano, prezzemolo e basilico,

300 gr. di fagioli di Villaricca,

400 gr. di pasta mista,

3 o 4 pomodorini,

100 gr. di cotiche,

aglio,

sale q. b.

 

PROCEDIMENTO

Mettere in una pentola acqua, fagioli e cotiche e far cuocere a fuoco lento. Intanto versare in un tegame l’olio, il battuto di lardo, aglio ed erbe aromatiche tritati, lasciando soffriggere per un poco. Poi aggiungere i pomodorini a pezzetti, facendo cuocere per circa 10 minuti e versarvi i fagioli e le cotiche, Per ultimo unire la pasta ultimando la cottura. Servire ben caldo.

 

LA PARTICOLARITA’ DEI FAGIOLI DI VILLARICCA

Il fagiolo “Tondino di Villaricca” è il nome di una cultivar di fagioli un tempo diffusi nella piana del giuglianese, alle porte di Napoli. È un fagiolo che sta scomparendo, soppiantato da un altro tipo che pure prende lo stesso nome ma che in realtà è un ibrido proveniente dall’Argentina

Il fagiolo “Tondino di Villaricca” coltivato nel territorio di Villaricca, Parete, Giugliano, Qualiano, Marano il terreno vulcanico delle nostre zone è ricco di sali minerali come potassio, azoto, fosforo che ne arricchiscono il sapore; e anche in cottura il tegumento è tenero per cui diventano cremosi e si legano meglio con la pasta mista nei diversi formati, che con i differenti tempi di cottura mantengono il croccante alla masticazione».

Villaricca è anche teatro di un altro tipo di produzione, il pane lievitato con lievito madre o criscito, impastato a mano nella mattera, la madia, e cotto in forno a fascine


 

Spiedo d'Oro

Via Pasquale Scura 53

+39 081 552 6111

 

Ai margini degli itinerari del centro storico, in un locale senza pretese

ci sono perle di tradizione culinaria napoletana. Solo a pranzo, formula tavola calda e takeaway.

Sartu' di riso eccellente, buoni primi ed anche il pesce.

https://www.facebook.com/pages/Spiedo-dOro-Trattoria/817340008293197?ref=hl

 


 

La Cantinella

Via Cuma, 42

 

Orari Apertura

Lun / Dom

12:30 - 15.30

19:30 - 23:30

Dom 12:30 - 15:30  

 

Location stupenda, con bella visuale su tutto il Golfo circostante, soprattutto se si riesce ad essere posizionati vicino ad una finestra... ecco cosa offre questo grazioso e curato ristorante, dove il mangiar bene è la filosofia principale del proprietario!

I piatti, ispirati alla tradizione napoletana, strizzano un occhio ai tempi moderni, venendo serviti in maniera ricercata, ma sempre mettendo al primo posto la qualità degli ingredienti ed i sapori autentici.

La ciliegina sulla torta può essere considerata la fornitissima cantina che propone vini locali, ma anche una selezione dei migliori vini italiani, da abbinare al meglio con le pietanze ordinate.

I prezzi sono proporzionati all’elevata qualità dei cibi proposti e alla location con visuale privilegiata!

 

http://www.lacantinella.it/


 

‘A Taverna do’ Re

Piazza Municipio Fondo Supportico di Separazione, 2/3

Tel. 081 5522424

Chiuso domenica sera, sempre aperto, mai in ferie

 

Antica trattoria in un passaggio strategico tra il molo Beverello dove attraccano gli aliscafi e piazza Municipio, proprio in una traversa del teatro Mercadante. Cucina solida napoletana con qualche estro creativo dello chef proprietario come gli spaghettoni alla cetarese con crema di scarola. Buona cantina di vini campani e nazionali. Sui 25-30 euro.

 


 

Signora Bettola

Vico Satriano 3b

 

Posto deliziosissimo, dietro Via Carlo Poerio, a Chiaja.

Carino fin dall'arredamento, si mangia divinamente bene

Ma è l'atmosfera - tipica della zona - che la fa da padrona. 


 

DA NENNELLA

 

...che debbo dirvi? ci dovete andare e basta!

Fatevi un giro sul sito...

 


 

ANTICA PIZZERIA DA MICHELE

 

NON SI EFFETTUANO PRENOTAZIONI

Via Cesare Sersale, 1

80139 - Napoli

+39 081.55.39.204

 

NON AVETE IDEA !!!!!

Franchising in tutto il mondo.


 

Frittata di scammaro ( e leggetevi la storia ! ) 

 

La frittata di scammaro è la versione povera della più conosciuta frittata di pasta, è una ricetta della tradizione povera napoletana ed io prima di qualche settimana fa, non sapevo nemmeno della sua esistenza. Prima di mettermi all'opera, sono andata un pò a vedere di cosa si trattasse e mi ha incuriosito il fatto che fosse una frittata senza uova arricchita da olive, capperi, pinoli e uvetta, e facendo una piccola ricerca ho letto che l'origine del suo nome non è legato al suo inventore come avevo pensato erroneamente, ma proviene dalla solita genialità napoletana di dare un nome adatto ad ogni cosa ;) "In tempo di quaresima i monaci che per motivi di salute avevano il permesso di mangiare carne, per non turbare gli altri confratelli, mangiavano nella loro camera, in lingua napoletana "cammera ".Quindi il termine " cammerare " divenne sinonimo di mangiar di grasso, mentre al contrario, " scammerare " sinonimo di mangiar di magro. Pare proprio che su richiesta del clero, il Duca di Buonvicino, Ippolito Cavalcanti, elaborò questo piatto di magro ( di scammaro ) raggiungendo, con la sua genialità, il giusto equilibrio tra " penitenza " e " gola " fonte originale. Oltre la storia ed il nome originale, devo dire che questo piatto mi è piaciuto molto, una crosticina dorata in superficie e una pasta ben legata e saporita all'interno

Ingredienti per 4 persone:

 300 gr di vermicelli

 100 gr di olive nere

 40 gr di capperi

 30 gr di pinoli

 30 gr di uvetta

 1 spicchio di aglio

 sale

 pepe

 prezzemolo

 olio


 

La cucina dei Borboni

 

Non v’è stagione in cui non ci si veda circondati d’ogni parte da generi commestibili; il napoletano non solo ama mangiare, ma esige pure che la merce in vendita sia bellamente presentata

(J.W.Goethe, Viaggi in Italia, lettera del 29.5.1787)

La cucina del Sud: una cucina metà di terra (pasta, verdure, latticini) e metà di mare (pesce, crostacei, molluschi), nel parlare di cucina del Sud, non possiamo non parlare della cucina dei Borboni, regale, ricca di storia e allo stesso tempo nobile e contadina.

Da una parte, grazie all’influenza dei francesi e degli spagnoli, le mense dei ricchi, molto appariscenti, con piatti scenografici e sostanziosi, dall’altra la cucina povera, quella riservata al popolo in cui primeggiano ortaggi e latticini, in cui è quasi assente la carne e il pesce era riservato per le feste.

In queste terre sono molti i piatti che attraverso i secoli sono stati elaborati facendo sì che questa cucina regionale sia diventata ricca di piatti di inventiva popolare. Pare fosse una cucina che seguiva gli umori capricciosi delle principesse, dei figli e dei nipoti di corte.

Sempre a Napoli all’inizio del Trecento, fu scritto in latino da un cortigiano del re Carlo II d’Angiò (1254-1309) il più antico ricettario di cucina conosciuto, il Liber de coquina. Il libro riporta ricette provenienti diverse corti, principalmente di influenza francese e napoletana, ma comprendente influssi arabi, spagnoli e di altre regioni italiane.

Cucina di corte e di popolo

La gastronomia di corte era d’ispirazione francese e spagnola, ma successivamente, col regno di Ferdinando I di Borbone (1751-1825), assunse una sua identità, come si nota nelle ricette che ha pubblicato Vincenzo Corrado.

Fu proprio nel periodo borbonico (1734-1861) che nacque la famosa “minestra maritata”, il piatto che diventò ben presto uno dei simboli del cibo partenopeo: una minestra, di derivazione spagnola, preparata con un brodo fatto con diversi tipi di carni e salumi, il tutto insaporito con le verdure degli orti vesuviani.

Un altro piatto dell’epoca che possiamo definire da re, era quel timballo medievale di maccheroni a tre strati, condito con cacio grattugiato, cannella, fette di provola fresca e abbondante butirro, il tutto spruzzato poi con acqua di rose, era poi lasciato a riposare nella cenere o in forno caldo per mezz’ora.

Cosa indicava nel suo libro “Cucina Teorico-Pratica” il Duca di Buonvicino Cavalier Ippolito Cavalcanti, per la Vigilia e per il Natale? Scopriamolo insieme.

Viglia de lo S. Natale:

Vruoccoli zuffritti co l’alice salate – Vermicelli co la mollica de pane, o pure zuffritti co l’alice salate – Anguille fritte – Ragoste vollute co la sauza de zuco de arrusto de capetone – Struffoli.

Pe l’Juorno de lo S. Natale:

Menestra de cecorie – Bollito de vaccina – Salame e aute ccose – Capuni a lo tiano – Puorco sarvateco nseviero – Bucchinotti mbottunatide nteriora de pulli – Costatelle de porco ngrattinate – Nsalata cotta de cavolisciore,e bruoccoli – Ammennole ncroccanna


 

Pizzelle di sciurilli

 

preparazione: 20 min 

cottura: 20 min 

totale: 40 min

 

Le pizzelle di sciurilli sono un piatto tipico napoletano. Queste pizzelle di sciurilli sono una variante delle classiche pizzette di pasta cresciuta che a Napoli vengono vendute nelle friggitorie e pizzerie ad ogni angolo della città; queste frittelle si preparano in estate, quando sulle zucchine spunta il caratteristico fiore arancio che viene utilizzato come ingrediente principale per preparare queste pizzelle profumate e saporite.

Le pizzelle con i sciurilli possono essere servite come antipasto o per cena insieme ad un tagliere di formaggi e salumi o come contorno, ma devono essere preparate in grandi quantità perchè una tira l'altra

 

Ingredienti  per 4 persone:

 300 gr di fiori di zucchine

 500 gr di farina 00

 400 ml di acqua

 1 uovo

 25 gr di lievito di birra

 20 gr di parmigiano

 1 cucchiaio raso di sale

 1 pizzico di pepe

 

 

 

IL SANGUINACCIO: UNA DELLE POCHE PROVE DELL'ESISTENZA DI DIO

 

A Napoli non può esistere Carnevale senza il goloso binomio composto da chiacchiere e sanguinaccio. Quest’ultimo è un dolce tipico partenopeo dalle origini molto antiche: come indica anche il nome, origianariamente veniva preparato con il sangue del maiale. Raccolto durante la macellazione, il sangue doveva essere continuamente mescolato per evitarne la coagulazione; successivamente veniva filtrato prima di essere unito alla crema di cacao cotta in pentoloni di rame su fuochi a legna. Alla crema si aggiungevano, poi, caffè, cacao, cannella, chiodi di garofano, uva passa e altre spezie oltre ad una buona quantità di zucchero per addolcire il tutto... 

Ma perché veniva utilizzato proprio questo ingrediente? E perché proprio in questo periodo dell’anno? Il periodo carnevalesco inizia precisamente il 17 gennaio, giorno in cui si celebra Sant’Antonio Abate. Il santo anacoreta, vissuto in Egitto tra il III e il IV secolo, è sempre stato invocato per la guarigione dell’herpes zoster, il cosiddetto “fuoco di San’Antonio”, che in origine si curava con il grasso di maiale; per questo motivo il santo è sempre stato raffigurato tra le fiamme e con un maiale accanto. Ma l’uso del sangue di porco per il dolce carnevalesco ha anche un’origine pagana: deriva, infatti, dalla tradizione medievale delle nostre campagne, dove l’uccisione dei maiali si è sempre collocata tra gennaio e febbraio, mesi in cui i contadini potevano finalmente godere di cibi prelibati frutto del loro lavoro: il ciclo di preparazione del maiale iniziava con il suo ingrassamento, proseguiva con la sua brutale uccisione e infine terminava con il suo essiccamento. C’è un detto secondo il quale “del maiale non si butta via niente”, e in effetti i napoletani hanno saputo sfruttare in cucina ogni parte di questo animale… Ma una volta utilizzata la carne, le interiora e il grasso, restava il sangue, che a lungo è stato utilizzato per scopi terapeutici: nei casi di carenza di ferro veniva dato alle donne durante il periodo mestruale o a chi soffriva di forte anemia. Dal 1992, poi, per motivi igienici, in Italia fu vietata la vendita e il suo utilizzo per scongiurare il pericolo di infezioni: il sangue, infatti, era considerando veicolo di malattie trasmissibili. Questo però non impedì completamente il suo uso. In alcune zone di campagna, ancora oggi, viene utilizzato e, seppur non venduto “ufficialmente” in negozi alimentari, è facilmente reperibile nei mercati di paese. Nonostante il sangue di maiale renda unico il sapore di questa golosissima crema al cioccolato, fortunatamente, l’arte dei pasticceri napoletani è stata in grado trovare una valida alternativa a questo ingrediente, conservando il suo inconfondibile gusto.

 

 

Ecco la ricetta:

 

INGREDIENTI

1 l di latte

500 g di zucchero

150 g di cacao amaro

50 g di farina

2 bustine di vanillina

1 pizzico di cannella macinata

100 g di cioccolato fondente

50 g di burro

100 g di cedro

 


 

Spaghetti del poverello, ‘o spavetto d”o puveriello

 

Era un piatto che nelle case si faceva spesso: del resto il nome la dice lunga. Come non trovare un poco di pasta e un uovo?

Per la sua essenziale semplicità si chiama spaghetto del poveretto, ben lontano dalla carbonara perché in sostanza si tratta di pasta con uovo fritto.

Veloce da preparare, buonissimo. Si possono usare anche i bucatini.

Mia madre ce li preparava molto spesso la sera e ci apparava ottenendo il massimo risultato con il minimo sforzo.

Che bello ritrovarlo in una trattoria napoletana, da La casa di Ninetta in una traversa del lungomare dove vi aspettano fissi un ragù, la genovese e la pasta e patate con provola.

Proprio questo mi aspetto da una trattoria: ricette intime riproposte con semplicità. Solo loro, quelle autentiche, le vere biblioteche in cui si è rifugiata la gastronomia del popolo.

Magari a Casa di Ninetta incontrate Lina Sastri, sorella del titolare.

 

La Casa di Ninetta. Lina Sastri abita qui

 

In una traversa del lungomare tra via Partenope e via Caracciolo da circa un anno Lina Sastri ha aperto questo piccolo ristorante chiamandolo proprio come la raccolta di scritti e pensieri dedicata alla memoria della madre Anna, detta Ninetta. Fedele al nome, il locale è accogliente, l’atmosfera calda ed è arredato proprio come una casa.

 

A’ Genovese

 

Con il termine “Genovese”, i napoletani si riferiscono al ‘sugo alla Genovese’, una salsa molto densa ottenuta cucinando carne e cipolle. Tempo e pazienza sono, infatti, il segreto di questa ricetta: come orgoglio della gastronomia napoletana, la “Genovese” (così come il Ragù) necessita di essere preparata con amore e ad una temperatura davvero bassa, come se fosse un rito e non una ricetta. è considerata  nutrimento dell’anima, che dev’essere sobbollita a fuoco lentissimo. Durante il periodo Borbonico, molti cuochi provenienti da Genova arrivarono a Napoli ed iniziarono a cucinare la carne ottenendola da un sugo particolare poi usato per insaporire la pasta, ma i vari ricettari dell’epoca affermano che il termine “Genovese” era principalmente usato per indicare un sugo molto più semplice, e che, quindi, la ricetta, così come la conosciamo oggi, ebbe origine solamente nella seconda metà del XVII secolo.

Ciascuna famiglia napoletana ha la propria ricetta segreta e personale, ma gli ingredienti rimangono gli stessi. Per prima cosa, si usa la cipolla, meglio quella ramata, che dev’essere sciolta dopo un continuo mescolamento. Poi si aggiunge la carne, che può essere di vari tipi: quello più usato è il lacerto, seguito dallo scamone  e dal muscolo dello stinco (i ricchi erano soliti usare il primo taglio del vitello). Infine, ma non meno importante, la pasta: la tradizione vuole che siano gli “ziti”  ad essere il tipo di pasta adatto per la “Genovese”; vengono spezzati a mano in modo tale da ricadere nella pentola e rendere il piatto più saporito. Altri tipi di pasta che possono essere utilizzati sono le candele’, le ‘penne’, i ‘paccheri’, ed i ‘mezzani, maltagliati’.

Se siete desiderosi di assaggiare una buona “Genovese”, magari vicino al mare e in un ambiente confortevole, La Casa di Ninetta è proprio la scelta che fa per voi. Si ratta di un ristorante tradizionale, ma allo stesso tempo di classe, vicino Piazza Vittoria e la Villa Comunale, dove semplicità ed ospitalità, ma anche raffinatezza e buon gusto, regnano sovrane. In questo luogo, potete trovare la vera “Genovese”, fatta con gli “ziti”, secondo l’antica ricetta della famiglia Sastri.

Indirizzo: via Niccolò Tommaseo, 11

Contatti: +390817647573

Orari: dal lunedì al venerdì dalle 19.3o alle 24.00; sabato, domenica e festivi dalle 13.00 alle 24.00


 

Mercure Napoli Angioino Centro

Via Agostino Depretis 123

081 1892 0451

 

https://www.accorhotels.com/it/hotel-1601-mercure-napoli-centro-angioino/index.shtml


 

Polipetti in umido con fagioli

 

I polipetti in umido con i fagioli sono un piatto di pesce sfizioso e completo,ideale da servire come antipasto in piccole cocottine di ceramica oppure sopra le fette di pane tostato per dare un tocco in più alle classiche bruschette che si preparano di solito.

Dosi per

4 persone

 1 kg di polipetti

 350 gr di fagioli rossi (bolliti)

 400 gr di polpa di pomodori

 1 spicchio di aglio

 1 peperoncino

 prezzemolo

 olio di oliva extravergine

 vino bianco


 

CAPRI

La Canzone del Mare 

 

Stabilimento balneare, ristorante e punto d'appoggio per yacht, La Canzone del Mare in via Marina Piccola, 93 è situata in uno dei luoghi più belli al mondo, la splendida Baia di Marina Piccola, a poca distanza dallo Scoglio delle Sirene, di fronte ai famosi Faraglioni.

 


 

BRANDI & LA PIZZA

 

Numerose sono le storie che girano intorno alla pietanza forse più famosa del mondo. Ancora più numerose sono le civiltà che si contendono la paternità di questo piatto. Si dice che la pizza abbia più di tremila anni di storia e che sia tipica di quelle culture che nel corso degli anni si sono affacciate sul Mediterraneo. La storia invece della pizza Margherita, la pizza per antonomasia, è invece certa: questa nasce in un angolo di via Chiaia a Napoli nel 1780, nel forno “Pietro e basta così” dalle mani di Raffaele Esposito e in onore dell’allora regina Margherita. Quell’antico forno è oggi la pizzeria Brandi, divenuta patria della pizza e tappa irrinunciabile di un soggiorno nella città partenopea.

 

http://www.nuok.it/napule/la-pizza-tutto-comincio-cosi-da-brandi/

 


 

DI MATTEO AI TRIBUNALI: DOVE CLINTON MANGIO' LA PIZZELLA

 

Già famoso per la pizza fritta, Di Matteo è un punto fermo nel panorama della frittura napoletana. Le fritture sono leggere, croccanti ed invitanti ed è impossibile non trovare persone davanti alla vetrina che aspettano il loro turno. Specialità è la frittatina di maccheroni  con bucatini, macinato di carne, piselli e besciamella, da provare in accompagnamento con supplì, zeppole e panzarotti. I prezzi sono bassi e le porzioni abbondanti.

 


 

GLI STRUFFOLI : UN'ALTRA PROVA DELL'ESISTENZA DI DIO

 

Gli struffoli sono il dolce di Natale tipico della tradizione napoletana, sono palline di impasto grandi non più di 5-10 mm di diametro, fritte nell'olio e ricoperte di miele caldo. Gli struffoli generalmente si dispongono in un piatto da portata dando loro una forma a ciambella; si decorano infine con pezzetti di cedro, frutta candita e confettini colorati (a Napoli li chiamiamo diavolilli o diavoletti).

Ogni Natale è tradizione che tutte le donne di casa si riuniscano per preparare gli struffoli ( così come a Pasqua prepariamo tutte insieme la pastiera). Tre generazioni a confronto per preparare gli struffoli. Ecco la nostra ricetta... auguri di Buon Natale a tutti voi 

Preparazione: 30 min cottura: 15 min

Ingredienti per 8 persone:

 3 uova

 1 limone

 3 cucchiai di zucchero

 3 cucchiai di limoncello

 40 gr di olio di semi

 1 noce di burro

 400 gr di farina 00

 250 gr di miele

 1 confezione di codette

 1 confezione di confettini argentati

 1 confezione di confettini all'anice

 

 

 

Caravaggio Hotel

Piazza Cardinale Sisto Riario Sforza 157 ,Spaccanapoli

 

Tra i più belli che ci siano in Centro. Di fronte, il Pio Monte della Misericordia...con il Caravaggio...appunto. Sul decumano che ti porta a Porta Capuana, dove, tra bettole mura greche, si mangia divinamente. 

Tutte le info


 

ANTIPASTI A NAPOLI: IMPEPATA DI COZZE

 

Ingredienti per 4 persone:

 1,5 kg di cozze

 2 spicchi di aglio

 olio

 sale

 pepe

 prezzemolo

 

A ‘mpepata e cozze, come viene chiamata a Napoli l'impepata di cozze, è uno dei piatti della cucina italiana più semplici da preparare ma allo stesso tempo uno dei più gustosi e graditi, grazie anche alla sua versatilità: può essere, infatti, servito sia come antipasto che come secondo di pesce.

Uno spicchio di aglio, del prezzemolo tritato e una spolverata di pepe nero sono tutto ciò che serve per insaporire le cozze  che in cottura rilasceranno un profumato sughetto da gustare con dei croccanti crostoni di pane tostato.

Portate in tavola i sapori mediterranei con questo piatto rustico e genuino.

 


 

DOMUS DECUMANA in the heart of historic center

 

Residence/Appartamento - 2 camere da letto  , 2 bagni  , 4 posti letto

 

L'appartamento si trova in Piazza San Domenico Maggiore 3, nel cuore del centro storico, in uno dei suoi prestigiosi palazzi: Palazzo Petrucci. È una vacanza casa situata al primo piano con tre camere dal balcone si può avere la piazza in mano. Offre ospitalità informale e raffinata nel centro di Napoli.

L'appartamento ha un ampio ingresso e un soggiorno, due camere da letto, una matrimoniale e l'altro con due letti singoli, cucina, sala da pranzo e due bagni con docce.

La zona è ricca di monumenti, chiese, musei tutti da visitare a piedi.

Da 150 Euro a notte

 

Qui

 


 

Da Capri ecco la ricetta degli spaghetti alla chiummenzana

 

La ricetta degli spaghetti alla chiummenzana ha le sue radici a Capri dove come sugo di terra con sapori semplici e familiari, ha la sua lunga storia. L’origine del termine “chiummenzana” deriva dall’italiano ciurma, ma una ciurma speciale però. La chiummenza infatti, era quella parte di ciurma che era a terra in attesa di imbarco. E gli ingredienti che compongono questo particolare piatto sono infatti tutti di terra e solo se eri su terraferma potevi procurarteli freschi freschi.

Nell’attesa quindi di prendere il mare, pare che qualcuno di questi marinai o pescatori avesse preso l’abitudine di preparare questa specialità, gli spaghetti alla chiummenza. Tradotto dovrebbe essere “alla maniera dei pescatori”. Ovviamente con questo sugo tante sono le paste che si possono condire a partire dagli spaghetti come ai bucatini ed in altri casi anche paccheri e ravioli capresi.

Ingredienti per 4 persone.  400 gr di spaghetti trafilati al bronzo. 400 gr di pomodoro fresco preferibilmente dei San Marzano.  100 gr olive nere di Gaeta. 1 bicchiere di olio evo.  2 spicchi d’aglio di montagna. 50 gr di capperi. 1 peperoncino secco. 1 cucchiaio di origano. un fascetto di prezzemolo.  pepe nero in grani.

Preparazione degli spaghetti alla chiummenzana.

In una tegame basso abbastanza largo, con il fondo pieno d’olio evo, mettete a soffriggere gli spicchi d’aglio tritati finemente se volete lasciarli nel sugo. In alternativa, schiacciateli con il palmo della mano e a loro imbionditura, li eliminate. Assieme all’aglio avrete messo anche il peperoncino super tritato. A imbionditura dell’aglio aggiungete subito anche le olive denocciolate tagliate a pezzettini e i capperi desalati sotto acqua corrente.

Fate andare massimo un minuto per non bruciare l’aglio se l’avete lasciato nel sugo, e aggiungeteci i pomodori San Marzano. Se li avete comprati in scatola li spappolerete con le mani prima di travasarli ne tegame.  Se li avete comprati freschi invece, li tagliati prima a pezzetti. Ora aggiungete anche l’origano.

Non fatelo proprio asciugare il sugo, non deve essere denso. Cotta la pasta al dente, ne terminate la cottura nel tegame con il sugo e poco prima di impiattare ci aggiungete anche il prezzemolo finemente tritato. Una spolverata di pepe nero in grani tritato chiude il piatto se vi piace il forte. Se così non fosse è sufficiente il peperoncino già inserito.


 

ANTICA CAPRI

VIA SPERANZELLA, 110

 

La trattoria è a due passi da via Roma e da Piazza Plebiscito. Arrivare al locale è semplicissimo: A piazzetta augusteo, sulla sinistra troverete le scalette adiacenti alla funicolare centrale. Percorretele tutte e troverete il locale di fronte.

Si mangia divinamente, come in una bettola arrampicata dietro l'Augusteo. Ambiente iper-familiare mangi spesso solo quello che trovi. Per certi versi la trovo superiore alla magnifica Nennella ai Quartieri. Uguale all'elegante Ciro a Santa Brigida. 

 

http://www.anticacapri.it/chisiamo.html


 

Trattoria del Golfo

Via Santa Brigida 56  - angolo con via verdi, Napoli

+39 081 1924 7380

Sito Web

 

In pieno centro, a due passi da Toledo e dalla Galleria, è uno dei posti dove si mangia davvero bene. 


 

A scarola ‘mbuttunata - cioè ripiena di ogni delizia

 

La scarola ‘mbuttunata, come si dice a Napoli, è un piatto della tradizione buono per tutte le occasioni. Poco calorico, da servire anche tiepido e si eliminano le acciughe ottimo anche per i vegetariani. E’ un piatto meno noto tra quelli della cucina napoletana, ma ha come base la scarola che, insieme ai friarielli, può dirsi la regina dell’orto napoletano. Gli ingredienti sono più o meno gli stessi utilizzati per il ripieno della pizza di scarole, ma composti in un delizioso e scenografico piatto che all’occorrenza può essere adatto anche per la tavola della festa. Il sapore della scarola unito all’amarostico delle olive nere di Gaeta, al dolce dell’uvetta e il croccante dei pinoli ne fanno un piatto delizioso cui nessuno saprà davvero resistere.

 

La ricetta

Ingredienti per 3 persone

3 cespi di scarola riccia

1 cucchiaio di capperi sotto sale

75 gr pane grattugiato

150 gr olive nere di Gaeta

1 spicchio d’aglio

20 gr uva sultanina

20 gr pinoli tostati

3 filetti di acciughe

1 ciuffo di prezzemolo

olio extravergine d’oliva q.b.

spago da cucina

 

Procedimento

Mondare la scarola eliminando le foglie più esterne, sbollentare i cespi interi per pochi minuti in una pentola con abbondante acqua in ebollizione, scolarli e lasciarli raffreddare su un piano avendo cura di non romperli.

Mentre la scarola si raffredda si può preparare il ripieno. In una padella si fa soffriggerenell’olio l’aglio, senza farlo bruciare, aggiungendo le olive nera denoccciolate, i capperi, i pinoli, le acciughe e il pane grattugiato. Una volta pronto aggiungere l’uvetta bagnata per un minuto in acqua e il prezzemolo. Aggiustare di sale se necessario.

Il ripieno così preparato deve essere utilizzato per riempire la scarola. Con molta cautela aprire i cespi e, al centro, mettere una generosa quantità di impasto. Chiudere con lo spago per evitare fuoriuscite in cottura.

Cospargere con un filo d’olio una teglia da forno e disporre i cespi di scarole legasti. Cuocere a 180° per 25 min circa.

 

Varianti

Se piace. al ripieno possono essere aggiunti tre cucchiai di pecorino.

Una variante della ricetta permette di evitare la cottura in forno. In tal caso le scarole vengono la riempite a crudo. I cespi una volta legati sono poi cotti in un tegame ampio e dai bordi alti, con il coperchio, avendo cura di irrorare con acqua, se necessario per evitare che bruci. Questo secondo procedimento è sicuramente più veloce, ma richiede maggiore attenzione in cottura.


 

Spaghetti alla puttanesca

 

Le origini di questo piatto tipico della città di Pulcinella, nessuno le conosce. O quantomeno non ve n’è una certa e sola. Noi adottiamo questa, sperando che piaccia. I Quartieri Spagnoli il luogo di nascita. Siamo agli inizi del ‘900 e si narra che il proprietario di un bordello, o casa chiusa se più vi piace, con sede in questa zona della città, per rifocillare i suoi “ospiti”, si inventò questo pasto rapido e veloce traendo spunto dai colori vivaci delle stanze e degli indumenti delle signore sue “lavoranti”.

 

Ingredienti (per 4 persone):

gr 400 spaghetti medie dimensioni

gr 200 di pomodorini del piennolo freschi

gr 75 capperi

gr 100 olive nere di Gaeta

1 fascio di prezzemolo

1 spicchio d’aglio

1 peperoncino piccolo

olio e sale

 

Preparazione

In un tegame mettete nell’olio lo spicchio d’aglio e portatelo ad imbionditura. Raggiunta questa, eliminatelo ed aggiungetevi capperi, debitamente prima sciacquati per eliminare un po’ di sale, le olive snocciolate e tagliate a pezzettini, ed ultimo il peperoncino. Lasciate insaporire per qualche minuto ed aggiungetevi i pomodorini  tagliati a spicchi. Al massimo altri cinque minuti di cottura e poi riversare in questa padella gli spaghetti già portati a cottura in un’altra pentola. Fate amalgamare per un minuto e servite spruzzando il prezzemolo tritato su ogni piatto. Buon appetito.


 

A SFUGLIATELL I SCATURCHIO: A RICETTA

 

Scaturchio: cosa posso aggiungere. Concedetevi una giornata particolare nella quale mangerete solo Scaturchio. Volete un'idea? Ecco il sito: http://www.scaturchio.it/  

 

Volete la ricetta della sfogliatella? Eccola!

Ingredienti

Per la sfoglia

Farina Manitoba

Strutto

Sale

Zucchero

Per la farcitura:

Ricotta romana

Zucchero

Frutta candita

Uova intere

Per la bontà della sfogliata, ci vuole rigorosamente il rispetto dei dosaggi della farcitura. La semola e la ricotta devono essere in egual misura. Almeno questo piccolo segreto per noi rende il nostro prodotto speciale.

 

Avete goduto?


 

ROSIELLO

Via S. Strato, 10 - 80123 Napoli

 

Non credo ci sia da aggiungere altro. Luogo "mitico" non solo per l'Antichità, la Posillipo di Rosiello rievoca anche i tempi della Canzone Napoletana Classica. E' un posto dove conta anche l'Atmosfera, come è logico. 


 

Il nuovo Tarallo Fritto da Passione di Sofì

Passione di Sofì, la nota friggitoria sita in via Toledo, ha rielaborato un grande classico della tradizione gastronomica napoletana, ossia il tarallo, fatto con farina biologica poco raffinata, strutto, mandorle baresi, pepe nero di cayenna, sale integrale di sicilia, acqua e lievito madre, che però viene servito dopo essere stato fritto.

Il nome del locale deriva dal nome della popolana che rubò il cuore di Ferdinando I di Borbone grazie alle sue irresistibili abilità culinarie; al primo piano della friggitoria è stata ricostruita la Casa di Sofì, così da offrire alla clientela un ambiente caratteristico dove degustare le specialità della casa.

 


 

O’ bror e purpo: a Napoli si mangia a Porta Capuana

Piazza Enrico de Nicola, 38

 

E’ il cibo di strada per eccellenza della Napoli di una volta. Eppure, ancora oggi, alle spalle di Porta Capuana è possibile trovare un ristorante dove preparano “o’ bror e purpo”, il must della cucina popolare partenopea. “A figlia d’o Luciano”, in piazza Enrico de Nicola, offre ai turisti, ai golosi o ai semplici estimatori delle tradizioni passate, la possibilità di gustare la cosiddetta “ranfetella” nel brodo di polipo. Servito in una tazza stracolma di brodo, il tentacolo spunta mentre si beve questo elisir di mare. “E’ tè marino, sa di scoglio, di alga, di fosforo, di barba di tritoni, di ascelle (o peggio) di sirene, di meravigliosa o sconcia mitologia greca”, scriveva il grande Giuseppe Marotta che pare apprezzasse particolarmente questo piatto. Un piatto povero, semplice, che si prepara con pochi ingredienti: il polipo si lascia infatti cuocere in un grande pentolone pieno di acqua bollente, con sale, olio e pepe ed il brodo così ottenuto si sorseggia proprio come se fosse un vin brulè o un punch, un sugo di mare che sfida il palato per un gusto tutto marino.

Il brodo di polipo ha origine antichissime, pare greche. A Napoli, le notizie sul suo consumo risalgono alla metà del XIV secolo e lo stesso Giovanni Boccaccio nel 1339, in una lettera indirizzata all’amico Francesco Bardi, racconta che in occasione della nascita di un bambino (forse il figlio illegittimo dello stesso Bardi) i compari avevano comprato il più bel polipo e lo avevano inviato alla “purpera”. Erano le donne infatti le addette al mestiere, quelle cioè che in strada cucinavano il polipo e lo vendevano al popolo affamato. Lo racconta Matilde Serao nel “Ventre di Napoli”. “Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta”, si legge nel celebre libro nato come lettera a Depretis, allora capo del governo.

Un’immagine passata e lontana quella descritta dalla Serao; nel frattempo, in strada i venditori di brodo di polpo sono scomparsi e ci si interroga su quale sarà il destino del cibo da strada.

Le rigide norme igieniche imposte dalla Comunità Europea, infatti, cozzano duramente con i venditori ambulanti dipanati tra i vicoli della città. All’appello mancano ormai la cosiddetta “spicaiola”, il “tarallaro”, lo “zeppolaiuolo”. Non ci sono più le voci, o meglio le grida, di coloro che con i loro carretti percorrevano in lungo e largo i vari quartieri della città. Del resto, il cibo di strada è qualcosa di estremamente teatrale, di esibito, nonché vera e propria sovversione dei tempi e dei luoghi ordinati previsti dal consumo domestico. Il cibo da strada, di cui Napoli è fiera ambasciatrice, è legato al popolo, alla sua disperazione, al suo bisogno di riempire stomaci brulicanti con pochi spiccioli.

Oggi lì, alle spalle del Borgo Sant’Antonio, in Piazza Enrico De Nicola 38 il ristorante “A figlia d’o Luciano” ripropone i piatti della tradizione. Non solo brodo di polipo ma anche impepata di cozze, zuppa di trippa, polipo alla luciana, frutti di mare anche crudi, pasta e fagioli con le cozze e spaghetti alla pignata. Dal 1969 erede di una grande tradizione familiare, il ristorante apre una finestra al passato: pochi tavoli, un ambiente casalingo ed una Napoli dagli antichi sapori che fa capolino e resiste tra i forti odori di cibo cingalese e cinese dispersi nel quartiere.


 

Per una serata di grande effetto, spesso bisogna andare verso Pozzuoli, i laghi, i Campi Flegrei - Bacoli in particolare. Qui siamo al 

Brusco Wine & Audio Room

Via Napoli, 161

insomma, sulla strada per Pozzuoli.

Posto affascinante con scorci unici. 

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AL CERRIGLIO

 

Avevo deciso di farvi arrecriare con la LOCANDA DEL CERRIGLIO , ma è inutile che io aggiunga qualcosa: ha un sito web che dice tutto. Una sola cosa - come overture : si mangia da dio !!! Cliccate sul "vecchio" Cerriglio, in basso, ed entrerete nel sito.

 

Solo una cosa voglio dire. Il Caravaggio, verso la fine della propria vita, passò per Napoli e, tra froci, assassini e puttane, vivacchiava nella zona del Cerriglio. Non proprio lì...non proprio come la vedete oggi... La zona aveva fama assai malevola ed andava dalla viuzza del Cerriglio fino al Porto e fino al Malpertugio: nome che dice tutto e che dovrebbe più o meno essere l'attuale zona di Piazza Francese. Una sera, uscendo dalla Locanda del Cerriglio, fernette a pisci fetiente ed ammazzò quasi un uomo. Lui fu ferito....

Poi, altra cosa che voglio sottolineare. Mentre si scavava in zona per la Linea 1 della Metro, la bellissima Linea 1...tra le vestigia già "profetizzate" dal Capasso e dal Napoli, è spuntato fuori un piatto dell'antica Locanda Seicentesca. Pubblicità dell'epoca, esso recava sopra la scritta LOCANDA DEL CERRIGLIO....


 

Osteria della Mattonella

Via Giovanni Nicotera 13, 80132

+39 081 416541

 

La Genovese di Antonietta è famosa in tutta la città: la prepara al massimo due volte la settimana. L’osteria esiste dagli anni ’50 ed è stata rilevata dalla famiglia Marangio all’inizio degli anni ’70. In cucina c’è Antonietta Imperatrice, nata in Via Speranzella, nel cuore dei quartieri spagnoli. Il tutto a due passi dal Plebiscito e da Toledo , dai Quartieri e dalla Galleria Borbonica. Siete dall'altra parte di Monte di Dio per cui, dopo esservi abboffati di genovese, potete andare sul Monte Echia e scendere al Chiatamone per le antiche scale. Un piccolo viaggio dell'anima e del Piacere

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'O MELLUNARO

 

Il mellonaro è una tradizione antichissima, un viaggiatore ottocentesco racconta di una festa che si celebrava il 14 di Agosto: la città vista da Castel Sant’Elmo sembrava un’immensa piazza d’armi dove il melloni giacevano accatastati a piramide simili a proiettili di cannone. Il mellonaro a Napoli resiste e ancora oggi, in alcuni punti della città, sempre gli stessi da generazioni, si possono trovare i preziosi banchi aperti tutta la notte. 

Ecco dove trovarne alcuni:

Vomero – Arenella

Via Domenico Fontana  –  angolo con Via Bernardo Cavallino

Piazza Arenella  –  lato pasticceria Bellavia

Posillipo

Capo Posillipo  –  circa 200 mt oltre l’incrocio della discesa di Marechiaro,  andando verso Coroglio

Centro

Corso Garibaldi  –  all’inizio del corso, quasi a Porta Capuana


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“O’Cuzzetiello”

 

O’cuzzetiello Panineria Takeaway di Dario Troise in Via Nazionale. - non lontano dal Centro Direzionale !

“Mangiare napoletano è magnifico”, è questo il motto di chi lavora in una delle paninerie più gustose degli ultimi tempi e cioè del TakeAway, O’ Cuzzetiello di Dario Troise, punto ristoro situato nella zona di  Piazza Nazionale e specializzato in  produzione di Cuzzetielli.

Eh si avete letto bene, niente cibo da gran gourmet, né novelle cusine ma vere e proprie “marenn” diremmo a Napoli, una sorta di colazione al sacco (per intenderci) ma più ricca di gusto, fatta di ingredienti della tradizione mixata a quelli dell’ innovazione.

Questo locale aperto solo da poco, nel 2016 sta già conquistando il cuore, anzi lo stomaco dei napoletani che fanno tappa obbligata in questo take away davvero originale, per uno “spuntino”fuori dal comune.

Vediamo insieme alcune delle specialità che si possono gustare:

cuzzetiello polpetta al ragù

cuzzetiello ripieno ai fagioli alla messicana

cuzzetiello polpette al Ragù e Melanzane a funghetto

cuzzetiello polpetta fritta e Peperoni

cuzzetiello di mare con all’interno polipo alla luciana

cuzzetiello caprese

cuzzetiello Vegano

cuzzetiello alla nutella

edizione limitata: cuzzetiello alla Genovese che potrete trovare a giugno

e molti altri ancora.

 

Dal sito: GrandeNapoli